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In che rapporto si pone la recente normativa con il modello 231? «Alla luce della nuova disciplina, il modello 231 assurge a «soluzione» circa le modalità attraverso cui introdurre, nel settore privato, l’istituto del whistleblower, nonché a «risposta» all’ambizioso progetto di diffondere, nelle aziende, una cultura anticorruzione che, mediante un sistema efficace di garanzie in favore del segnalante, può concretizzarsi in iniziative reali e divenire, perciò, tangibile», evidenzia Tiziana Manenti, partner di Watson Farley & Williams. «È pur vero che la preesistente lacuna normativa ha, di fatto, accentuato quelle affinità tra il modello 231 e l’istituto del whistleblowing (il riferimento è, in particolare, alla regolamentazione, nell’ambito del modello 231, degli obblighi informativi in favore dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello), che hanno finito per rendere il primo veicolo naturale di attuazione della riforma de qua».
E Roberta Battistin, tax counsel di Delfino e Associati Willkie Farr & Gallagher LLP aggiunge che «l’inserimento del whistleblowing nei modelli organizzativi 231 fa sì che sembrano poter formare oggetto di segnalazione solo le condotte illecite commesse nell’interesse o a vantaggio della società. Laddove poi un reato venisse commesso in una società che non si è dotata di un modello organizzativo 231, il whistleblower che decidesse di effettuare la segnalazione secondo altro canale – ad esempio all’autorità giudiziaria – non potrebbe contare sulla tutela prevista dalle disposizioni in commento. Queste limitazioni mal si conciliano con l’obiettivo ispiratore dell’istituto, ovvero il contrasto alla commissione di illeciti e la tutela dell’integrità aziendale».
«L’efficacia della normativa molto dipenderà, in concreto, dall’entità e dalla tipologia delle sanzioni che gli enti prevedranno nel proprio sistema disciplinare», secondo Andrea Scarpellini di Villa & Villa e Associati. «Secondo il nuovo art. 2-bis del decreto 231, queste sanzioni sono limitate ai casi di violazione delle misure poste a tutela del segnalante e a quelli di segnalazioni infondate per dolo o colpa grave, mentre mancano previsioni sanzionatone per l’inerzia del responsabile della gestione della segnalazione (nelle corrispondenti previsioni per il settore pubblico, invece, per il mancato svolgimento di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute è prevista a carico del responsabile la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro)».
Per Alessandro De Nicola, senior partner di Orrick, «senza dubbio l’attribuzione di forza legislativa a un obbligo di tutela del soggetto segnalante l’illecito è un dato che aumenta la protezione del dipendente ma, non essendo l’adozione del modello 231 obbligatoria, l’obiettivo originario di stimolare i «cittadini onesti» – in questi termini si erano espressi i relatori della proposta di legge nell’ottobre 2015 – attraverso la diffusione di una cultura dell’etica e della trasparenza anche nel settore dell’imprenditoria privata non può considerarsi pienamente raggiunto, anzi, per assurdo, non si può escludere l’esistenza di un problema di disparità di trattamento tra i dipendenti di enti privati che hanno adottato un modello 231 e, quindi, tutelati dalle misure di anti-retaliation del ddl e quelli i cui enti non hanno un modello 231 e, pertanto, apparentemente non protetti dal divieto di atti di ritorsione o discriminatori».
«Certamente il provvedimento richiederà uno sforzo applicativo da parte delle imprese private nella modifica del proprio modello organizzativo 231 e del codice etico nonché nell’approvazione di forme di normazione interna relative alla gestione delle risorse umane e dei flussi attinenti ai canali di segnalazione», dice Raffaele Caldarone, socio di Nctm. «Occorrerà assicurare, mediante l’adozione di misure di carattere informatico – continua l’avvocato – la riservatezza dell’identità del segnalante e si dovrà prevedere la protezione dello stesso da ritorsioni, fermo restando che il whistleblower dovrà essere in buona fede e perseguire la finalità della tutela dell’integrità dell’ente».
«Ad una prima sommaria riflessione, il fatto che il dato normativo richiami i soli modelli volti a prevenire reati compiuti dai c.d. apicali e non, invece, anche i modelli di organizzazione, gestione e controllo di cui all’articolo 7 del D. Lgs. 231/2001 volti a prevenire il compimento di reati da parte di persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di un soggetto apicale», aggiunge Maurizio Ragno, counsel di Bird & Bird, «non pare debba essere troppo enfatizzato, anche in considerazione della consolidata prassi di adottare un solo modello organizzativo, va osservato che il dato normativo non precisa, tra l’altro, quali siano all’interno della società o dell’ente i destinatari delle segnalazioni di irregolarità. Al riguardo sembrerebbe tuttavia possibile concludere che tali segnalazioni debbano essere trasmesse all’organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo incaricato di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e, quindi, ai c.d. organismi di vigilanza 231».
Guido Callegri, partner di De Berti Jacchia Franchini Forlani apprezza il fatto che il legislatore «si sia sforzato di richiedere e definire la buona fede del segnalante: il whistleblowing, infatti, può costituire un’arma micidiale per segnare le sorti professionali (e non solo) di un dipendente pubblico o privato. Ho anche notato le modificazioni alla legge 231 che impongono alle società di adeguare il modello organizzativo ai dettami della nuova legge. Con un meccanismo tecnico-giuridico non nuovo – ha continuato l’avvocato – il legislatore ha presunto la natura ritorsiva di misure e provvedimenti in genere adottati nei confronti del segnalante successivamente alla segnalazione. La norma sembrerebbe basarsi sull’ovvio. Mi preoccuperebbe, tuttavia, una totale deresponsabilizzazione, sul piano dei fatti, del segnalante».