Pubblichiamo di seguito l’articolo di approfondimento uscito su Diritto24, a firma di Marco Gentile, sul tema del sovraindebitamento alla luce della sentenza n. 245 del 29 novembre 2019 della Corte Costituzionale
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La sentenza n. 245 del 29 novembre 2019 della Corte Costituzionale ha posto un freno alla violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, con riferimento alla falcidia dell’IVA nelle procedure di sovraindebitamento.
La pronuncia in esame trova origine dall’ordinanza con cui il Tribunale ordinario di Udine ha sollevato, in relazione ai citati articoli della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 3/2012.
L’incidente di legittimità costituzionale è intervenuto nella fase di valutazione dell’ammissibilità di un piano proposto ai creditori in cui si prevedeva la soddisfazione solo parziale dei crediti concorsuali, tutti indistintamente collocati al chirografo, compresi quelli privilegiati, attesa l’incapienza dei beni sui quali dovrebbe gravare la relativa prelazione, tale da non consentire prospettive liquidatorie di maggior favore.
Da più parti ci si è in passato interrogati sulla compatibilità delle limitazioni imposte dalla normativa in questione con i principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza, nonché di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione.
Ci si è chiesti cosa accadesse al principio costituzionale di uguaglianza, sancito dall’art. 3 della Costituzione, se nelle procedure di concordato preventivo di cui agli articoli 160 e seguenti L.F., era consentita la falcidia dell’IVA mentre in quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento, (le uniche a cui possono accedere le imprese minori) il debito IVA doveva essere pagato integralmente, pur in presenza di norme quasi identiche sul piano letterale a quelle dettate per il concordato preventivo. E cosa accadesse, poi, al principio sancito dall’art. 97 della Costituzione, “secondo il quale la legge deve organizzare i pubblici uffici in modo da assicurarne il buon andamento”, se agli stessi uffici non era consentita la possibilità di valutare liberamente se prestare assenso ad un piano che, pur tramite la falcidia del relativo diritto, in ipotesi ne consenta una realizzazione effettiva e non inferiore, rispetto all’alternativa liquidatoria.
L’amministrazione finanziaria, sino ad oggi infatti, è risultata di fatto espropriata di tale potere.
Giova ricordare che l’art. 7 comma 1, Legge 3/2012, al terzo periodo, precisa che “in ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento”. E’ altrettanto importante ricordare che l’accordo con i creditori è strutturato, nei suoi tratti essenziali, come il concordato preventivo previsto dalla legge fallimentare.
E proprio da tali similitudini prende le mosse l’iter argomentativo della Corte Costituzionale, che tratteggia le numerose analogie di struttura e di finalità tra la normativa prevista in tema di concordato preventivo e quella che disciplina l’accordo nelle procedure da sovraindebitamento, entrambe con una base negoziale importante che non le pone, tuttavia, al di fuori dell’area delle procedure concorsuali sottoposte alla verifica giurisdizionale, in sede di ammissione e successiva omologa. Questo, al fine di sottolineare come le asimmetrie tra le due procedure (concordato e sovraindebitamento) in tema di falcidiabilità dell’IVA siano ingiustificate e dunque contrarie al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost..
Invero, come noto, sia la normativa dettata per il concordato preventivo, sia la normativa relativa all’accordo di composizione della crisi del debitore non fallibile prevedono la generale falcidiabilità dei crediti tributari, privilegiati e chirografari, ma, a differenza della legge fallimentare, la disciplina della composizione della crisi dell’imprenditore non fallibile la esclude in riferimento al regime dell’IVA.
La Corte Costituzionale, nella propria sentenza, sottolinea poi come, “le nuove disposizioni sul sovraindebitamento, contenute nel nuovo codice della crisi d’impresa, prevedono il possibile pagamento parziale dei crediti privilegiati e tra questi anche quelli tributari, senza più riprodurre il divieto di falcidia e ciò sempre che la proposta sia maggiormente favorevole rispetto alla prospettiva liquidatoria, in termini non diversi da quanto previsto dall’attuale disciplina del concordato preventivo relativa alla falcidia dei crediti privilegiati”.
Dunque, il sovraindebitamento, al pari del concordato preventivo, costituisce una delle vie attraverso il quale lo Stato intende perseguire l’obiettivo della piena riscossione del tributo.
La Corte ha quindi ritenuto fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Udine fondate con riferimento all’art. 3 della Costituzione e, con riferimento all’art. 97 della Costituzione, ha sottolineato come “la possibilità di prospettare un pagamento anche parziale dell’obbligazione tributaria, pur se assistita da prelazione, a fronte della grave situazione debitoria del proponente, non adeguatamente supportata da un patrimonio tale da assicurare l’effettività della riscossione anche coattiva della relativa pretesa, garantisce il male minore, sia per il privato debitore sia per l’amministrazione finanziaria”.
In sostanza, dunque, la ragione di fondo che giustifica la falcidia dell’IVA, al pari di quella di tutte le altre poste di credito privilegiate e tributarie, non può porsi in termini differenziati per le diverse categorie di debitori legittimati ad avvalersi di una procedura concorsuale esdebitatoria.
La sentenza in rassegna rappresenta una boccata di ossigeno per i soggetti non fallibili (piccole e medie imprese e professionisti) che d’ora in poi potranno proporre un accordo con i propri creditori che preveda, a determinate condizioni, anche la falcidia dell’IVA.
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