[vc_row][vc_column][vc_column_text]
Ha diritto al rimborso dell’imposta sul valore aggiunto il contribuente che ha versatol’imposta in misura superiore a quanto realmente ed effettivamente dovuto.
Queste sono le conclusioni a cui è giunta la Ctr Lombardia con la sentenza n. 587/2017 con la quale ha confermato l’operato dei giudici di primo grado. Nel caso di specie, una società emetteva fattura di importo consistente per la cessione di un bene complesso nei confronti di altro soggetto applicando l’aliquota Iva del 20%.
Il cedente incassava la relativa Iva e successivamente la riversava all’erario in sede di liquidazione. La società acquirente presentava la dichiarazione Iva a credito e procedeva alla richiesta di rimborso all’Erario che si vedeva però negare.
Il fisco sosteneva che l’aliquota Iva applicata sulla fattura di cui sopra fosse maggiore di quella corretta e negava quindi il rimborso ritenendo tale parte di imposta indebitamente detratta.
A questo punto la cedente, che aveva acquistato il credito Iva dalla committente originaria, presentava apposita istanza al fine di ottenere il rimborso dell’imposta versata in eccesso all’Erario sul presupposto che l’Iva era stata resa indetraibile per l’acquirente. La domanda di restituzione veniva però respinta dall’Ufficio che sosteneva essere trascorso il termine di due anni dall’avvenuto pagamento, così come previsto dall’articolo 21 del dlgs 546/1992.
Il diniego di rimborso veniva impugnato dall’originaria cedente evidenziando, prima di tutto, che il termine di due anni per la domanda di restituzione non doveva essere fatto decorrere, come sostenuto dall’Ufficio, dal momento del versamento dell’imposta, ma bensì dal momento in cui lo stesso Ufficio aveva disconosciuto il diritto alla detrazione per l’acquirente. Questo era quanto effettivamente previsto dall’ultima parte del citato art. 21 che l’Ufficio, tanto nel diniego di rimborso, quanto nella sua costituzione in giudizio, pareva aver «dimenticato».
La ricorrente evidenziava ancora come il mancato rimborso dell’imposta avrebbe comportato per l’Erario un arricchimento senza giusta causa (art. 2041 cc) avendo l’ufficio, da un lato reso l’Iva indetraibile in capo al all’acquirente e dall’altro incassato e trattenuto interamente quella, in eccesso, versata dal cedente. Il Collegio di primo grado accoglieva le ragioni della contribuente disponendo che gli fosse rimborsata l’imposta. L’ufficio proponeva quindi appello per ribadire la sua tesi in relazione al termine di decadenza per l’esercizio della domanda di restituzione. Investita della questione la sezione 18 della Regionale di Milano, faceva sue le conclusioni dei giudici di primo grado, con-fermando che il diritto alla restituzione fosse stato tempestivamente fatto valere dalla contribuente nel termine di due anni dal momento in cui era sorto il relativo presupposto, vale a dire dal momento in cui l’Ufficio aveva reso indetraibile l’Iva addebitata all’acquirente.[/vc_column_text][advice_text_block type=”icon-list” i_type=”openiconic” i_icon_openiconic=”vc-oi vc-oi-download”]Scarica PDF[/advice_text_block][/vc_column][/vc_row]